Lo scorso fine settimana ho voluto ritornare a Frera e Scalaro, località a mezza montagna al confine tra Piemonte e valle d’Aosta. L’ho fatto per ricordare un amico scomparso che 40 anni fa mi aveva invitato nella sua baita per una vacanza di pesca alla trota.
Mi sono guadagnato il soggiorno spalando letame di vacca ogni mattino, a contatto con la vita dei mandriani negli alpeggi… ed è rimasto uno dei ricordi più belli della mia adolescenza.
All’epoca la vita negli alpeggi sulle ultime montagne piemontesi era ancora dura, fatta di solitudine e di lavoro duro. La sera dopo aver fatto rientrare le mucche nella stalla, si mangiava un po’ di polenta e latte, un po’ di formaggio con un bicchiere di vino. Giuani il mandriano indulgeva un po’ nell’oblìo che regala la grappa, guardando la fiammella tremolante del lume ad acetilene. Se ricordo bene aveva perso la moglie a causa di un fulmine, e aveva lo sguardo sempre triste guardando saettar le fiamme nel camino. Poi ci si coricava su materassi imbottiti di foglie di mais fruscianti.
Il giorno dopo la giornata ricominciava uguale: mungitura, far uscire le mucche al pascolo, e per noi due ragazzotti il compito di pulire la stalla dalle feci accumulate durante la notte. Il tanfo di merda quando aprivo la porta della piccola stalla mi toglieva il respiro all’inizio. Poi ci si fa l’abitudine e manco più lo senti. Ne ho fatto una lezione di vita con le dovute metafore. Lo spesso strato di liquame andava spazzolato dal centro della stalla verso uno scolmatoio in comunicazione con l’esterno.
Domenico eravamo liberi di dedicarci alla pesca. Si scendeva al torrente e si risaliva pozza per pozza gettando l’amo. Lui la licenza l’aveva ma forse non proprio in ordine… così quando un mattino Giuàn ci chiamò dal ciglio del torrente, avevamo paura fosse un guardapesca.
Invece era mio padre, che era venuto a vedere come ce la cavavamo. Rimase per un po’ poi discese verso Santa Maria, dove arrivava la strada carrozzabile, lasciando la sua inconfondibile scia di sigaro toscano. Adesso si sale comodamente in auto fino a Scalaro e oltre, e le baite sono diventate graziose casette di montagna, seconde o terze abitazioni dei figli o nipoti di chi ci passava l’estate a lavorare.
Ma l’estate in alpeggio era una vacanza per gente abituata a condizioni di vita durissime, a sacrifici, a dolori, a privazioni: niente medici, niente dentisti, niente medicine, niente pensione. Gente così è passata attraverso due guerre, sopravvivendo e mandando avanti la famiglia. Non se se noi sapremmo fare altrettanto.
Ciao Domenico!