Con Dave Carletti, il nostro fotografo di fiducia per i motori, riviviamo alcuni momenti dei passati GP di F1 a Monte Carlo. C’ero anche io un paio di anni fa a mettere musica al Villaggio della F1.
Con Dave Carletti, il nostro fotografo di fiducia per i motori, riviviamo alcuni momenti dei passati GP di F1 a Monte Carlo. C’ero anche io un paio di anni fa a mettere musica al Villaggio della F1.
Oggi è il terzo giorno di primavera e l’aria è ancora fresca dove c’è ombra. Il sole invece scalda che è una bellezza. Scendendo la scalinata nel tratto in ombra perenne che sovrasta la galleria ferroviaria, sento il tipico odore dei boschi sardi: lecci e querce e pecore. Le annuso prima ancora di vederle.
Stanno pascolando all’interno del parco di Villa del Mare, la lussuosa proprietà che appartenne a Mobutu, il dittatore dello Zaire che una appropriata campagna stampa di glorificazione fece passare per un illuminato leader africano, molto trendy con la bustina di leopardo in testa e gli occhiali scuri alla Onassis. Un poeta africano, autore di liriche appassionate. Che scriveva qualcun altro. Lui era il solito profittatore africano che fece affluire i soldi in Svizzera dove oggi i suoi eredi si godono i miliardi fatti sulle spalle dei congolesi. Diamanti, uranio, petrolio, legni pregiati. Il Congo è ricco mentre i congolesi sono poverissimi, senza strade, senza ospedali, senza futuro, in mano al fronte di liberazione di turno, libero solo di arraffare a più non posso.
Mentre cammino penso al libro che ho letto di Jo Nesbo, scrittore noire norvegese. Una parte è ambientata in Congo e ho scoperto che la dominazione belga è stata sanguinaria sotto Leopoldo II, il re dei belgi che aveva una villa qui in Costa Azzurra e uno yacht alla fonda nella baia delle Formiche davanti a Beaulieu.
Si stimano ad un milione i morti tra la popolazione negli eccidi compiuti dagli sgherri di Leopoldo II. Tra i metodi di tortura c’era la Mela di Leopoldo, una pallina metallica da mettere in bocca all’interrogato. Con un scatto fuoriuscivano delle punte che ferivano palato e lingua. Con un secondo scatto le punte di allungavano di 5 cm perforando tutta la cavità orale e uscendo sulla faccia del suppliziato, che moriva soffocato dal suo sangue. Era un metodo di interrogatorio infallibile. Peccato che si perdesse sempre il primo soggetto. Ma dopo aver visto l’effetto della mela di Leopoldo, il secondo parlava di sicuro. Bhe, si tratta di un “artificio narrativo”, un oggetto che esiste solo nella fantasia dello scrittore. Ma il milione di morti congolesi purtroppo è vero.
Cammino e penso a Bruxelles, in queste ore di ribalta mediatica…e all’“artificio narrativo”. Io ci avevo creduto subito alla Mela di Leopoldo. Ma cercando in rete ho scoperto che anche altri si erano posti il dubbio se esistesse un tale strumento. Bisogna sempre controllare i fatti e il giornalismo sensazionalistico di oggi non lo fa più. Tutto è veloce, bisogna sparare i titoloni. Io ero a Parigi ieri e l’aereoporto di partenza e quello di arrivo erano assolutamente tranquilli. Con più presenza di polizia e esercito, ma senza code e caos come li hanno descritti i media. Molti amici e familiari si sono preoccupati guardando la TV per i disagi che potevo subire. Ma gli aerei erano in orario e il security check senza code ed efficienti come al solito.
Cammino e penso a quell’immenso palazzo di Giustizia di Bruxelles che ha l’aria inquietante e che domina la città come una cattedrale laica. Penso ai casi insabbiati di pedofilia di qualche anno fa, quelli del boia di Marcinelle, penso ai guantini neri dei poveri fessi che si sono fatti esplodere all’aeroporto, e anche ai poveri fessi che nella conferenza stampa irresponsabile di qualche giorno prima avevano fatto trapelare che Abdelslam stava parlando.
E poi guardo i fiori e il mare. E il campo da tennis de La Residence du Cap, in mezzo ai pini marittimi. E mi fermo a vedere il tronco tagliato di recente di un giovane pino che aveva una ventina di primavere. Conto i cerchi corrispondenti alla crescita di ciascun anno e respiro il profumo forte della resina di conifera, come un nino da rua aspira la sua colla per non avere fame. E mi sento fortunato.
Cammino lungo il Cap. Meglio farlo oggi, visto che per il fine settimana è previsto maltempo. Carico sullo smartphone una compilation che avevo creato per Style. Il magazine del Corriere, quando il vicedirettore era Diamante D’Alessio, era molto addentro a Second Life, il network sociale che prometteva una seconda vita virtuale in rete usando degli avatar. E anche io ne avevo uno!
Avevo fatto una serata in diretta su Second Life raccontando uno dei miei viaggi. Avevo scelto il Guatemala. E per il resto della serata on line avevo creato una colonna sonora, la Style-Guatemala Night. Avevo selezionato dei brani latineggianti, delle cose gradevoli da sottofondo, e li stavo ascoltando compiaciuto camminando sul sentiero. Quando un certo punto, mi entra in cuffia un tocco di pianoforte inconfondibile…Basta 3 note per rendermi conto che è “Everybody’s talking” nella versione un po’ salsa di Joe Sample e Randy Crawford.
Mi viene da piangere a pensare che Joe Sample non c’è più, è morto nel settembre 2014. E’ una delle perdite nel mondo della musica che mi ha toccato di più, come quella di Clarence Clemons, il Big Man della E street Band.
Sample era un ottimo pianista, non un genio, faceva un jazz facile, che capivo anche io. Lo avevo incontrato 20 anni fa a Juan Les Pins, mentre stava tornando a piedi verso l’hotel dopo un concerto nella pineta con i Crusaders. All’una del mattino lo incrocio sul marciapiede ed esclamo: “ma tu sei Joe Sample!” E lui sorride, mi da la mano e mi chiede “How you doing?” Quella mano che tocca i tasti in modo sublime, creando riff di smooth jazz che mi fanno impazzire.
Poi l’ho rivisto e intervistato al Nice Jazz Festival, a Cimiez, nel parco sulle colline di Nizza. Aveva un po’ di difficoltà a parlare, metteva insieme le frasi in modo strano nel rispondere. Era con l’immensa Randy Crawford, una delle voci femminili che apprezzo di più. E avevano in uscita (era l’estate del 2007 credo) un album, “Feeling good”, dove c’era questa versione di “Everybody’s talkin”, la canzone di Nielsen dal film “Un uomo da marciapiede”.
Quando l’ho riascoltata stamattina mi è venuto da piangere. Quell’artista non c’è più, quel tocco sul piano non si potrà ripetere, era un brav’uomo Joe Sample, umile artigiano di musica fatta bene. Non era una rock star ignorante e presuntuosa, destinata a durare un attimo. Era un pianista nato a Houston, Texass, nel 1939 e che nel 71 aveva messo insieme i Crusaders e aveva continuato così, a fare gig di bun libello per una paga dignitosa. Se devo versare una lacrima per un artista scomparso, ecco quella è per lui, non per David Bowie o Maurice White.
Ciao Joe, ti ho pensato una mattina di febbraio camminando lungo il Mediterraneo. E’ un piccolo tributo da un ammiratore a cui hai regalato un sacco di bei momenti.