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Collections 08 by Enzo Caldarelli

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Monaco Yacht Show 2011

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Bondi beach, un sabato australiano

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Back from the outback

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Sidney

Sidney, ven 9 sett
Ah, la magia di Sidney! Mi sento come un proprietario terriero dell’Outback che arriva in città. E ne ho anche il look con il mio cappello e i vestiti del colore che usano i sheepmen. Sembro uno che ha lasciato una sheep station con 10.000 capi ed è venuto a Sidney per affari.

Alla reception mi si avvicina un tipo elegante che in italiano mi chiede: “Sei Maurizio?” ma dai! E’ Maurizio Chiesura, dj e producer, che è in giro per l’Australia per capire se è il posto dove potersi impiantare e vivere bene.

Ci vedremo nel pomeriggio perchè in mattinata ho un impegno con i ragazzi del programma Friends of Australia. James Sun e Nicole Tiedgen mi portano a pranzo al Sakè, ristorante di influenza giapponese ma miscelato con il trend del momento australiano. E’ quella che chiamano Mod Oz cuisine, cucina Modern Australian.

Il manager del ristorante è il ventinovenne François, che ha lavorato da Alain Ducasse al Bar & Boef di Monte Carlo.

All’uscita Kavea (a sinistra), che si occupa del booking al Sakè, mi restituisce giacca e cappello. E’ un’amica di lunga data di Nicole, hanno lavorato insieme per il governo australiano.

Mi ritrovo con Maurizio Chiesura e facciamo un giro per la parte turistica di Sidney. Ci conosciamo da 25 anni, anche lui ha collaborato con Full Time records. Camminando per the Rocks, la parte antica di Sidney vicina al ponte sulla baia, ci raccontiamo i pezzi mancanti della nostra vita.

James e Nicole mi avevano consigliato per il venerdì sera Paddington, un sobborgo dove all’incrocio di 5 strade sorge dal 1988 l’Hotel Royal. Al primo piano guardano la partita del mondiale di rugby Isole Tonga – Nuova Zelanda. Ovviamente stravincono gli All Blacks. Al secondo piano ceniamo con un filetto di black angus semplicemente perfetto.

Al terzo si beve e si chiacchiera. Mentre io e Maurizio ordiniamo da bere una ragazza bionda chiede: “Ma siete italiani?” Si chiama Amanda, ha studiato 2 anni a Genova e parla un ottimo italiano. Ci presenta tutti lì intorno, stanno festeggiando una ragazza che parte per Londra a fare un master in psicologia. La tipa insieme a lei è di origine venete, fa Marcon di cognome.

Con Maurizio Chiesura si ritorna verso il centro e verso il Grace Hotel. E’ venerdì sera, le strade sono affollate di fumatori all’esterno dei locali. Il migliore ci sembra quello in York street di fronte al Grace Hotel, si chiama CBD Hotel. Mentre il Grace risale agli anni 30 ed è un albergo di 11 piani in stile decò pieno di fascino, il CBD è ormai solo un ristorante e bar. Il bancone fa il giro del locale, quattro colonne in ghisa sorreggono un soffitto altissimo.


E il DJ Sean seleziona una colonna sonora molto funky., da Papa was a rolling stones, a Last night a DJ saved my life.

Bevo un Pinot Noir ottimo, Devil’s Corner della Tamar Valley, in Tasmania. E all’angolo del bancone ci sono tre ragazze brasiliane: Elaine, Silvia e Giulia. Giulia parla un po’ di italiano, Elaine un po’ di francese. Studiano e lavorano negli eventi a Sidney. Vengono da Sao Paulo e sono a Sidney da un paio di anni.


Mi dicono che a Sidney si vive bene, le strade sono sicure e una ragazza può ritornare a casa la sera senza problemi, basta che non sia troppo tardi. In effetti al CBD qualcosa è cambiato: sono quasi le 23 e molte ragazze se ne sono andate. Il tasso alcoolico si è alzato, qualche ragazzo barcolla, e non a ritmo con la musica. Il locale rimarrà aperto fino alle due ma le ragazze brasiliane decidono che è il momento di andare. E ce ne andiamo anche noi. E’ stato un bel venerdì sera in Sidney. In poche ore abbiamo conosciuto una dozzina di persone, parlato e scambiato opinioni e storie di vita. E’ il lato migliore di una città viva e conviviale, multietnica e cordiale come Sidney.

L’indomani mattina il cielo è sgombro e le nuvole cariche di pioggia se ne sono andate. Sfido, tira un vento di mare di quelli gelati e taglienti. Quello che non capisco è come gli australiani riescano ad andare in giro in tshirt e bermuda con temperature che per me sono polari.

Il sole brilla su Bondi beach, la mitica spiaggia di Sidney diventata il centro della vita sportiva. E mentre le onde sono punteggiate di decine e decine di surfers che aspettano quella giusta, nel cielo galleggia nel vento una enorme balena.

E’ un aquilone che riproduce una megattera a grandezza naturale cioè sui 12 metri. E intorno galleggiano in aria altri aquiloni strani e coloratissimi. Uno spettacolo mai visto per me. Bondi è riuscita a stupirmi! Deve esser un posto dove ci si gode la vita. In giro sono tutti belli. Un sacco di ragazze, gente con i cani, tutti a camminare o a fare jogging in questo brillante sabato mattina di primavera.

Sidney si conferma una città piena di vita, di gente che arriva da tutte le parti del mondo, vivibile al 100% almeno nel suo centro. Avendo 4 milioni e mezzo di abitanti probabilmente lontano dagli sfavillanti grattacieli che si affacciano sulla baia ci sarà una periferia con i suoi problemi di traffico.
Ma intanto questa Sidney fa sognare.
E nel cielo un aereo compie evoluzioni per scrivere con il fumogeno la parola Roak?Con il punto interrogativo. Ho cercato un po’ in internet ma non ho scoperto niente. Era un messaggio d’amore in codice? Una forma di pubblicità? Dovrò tornare a Sidney prossimamente per indagare più a fondo. Obbligato.

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Flinders Ranges

In pieno centro di Adelaide, su un albero in mezzo ai grattacieli di Hindmarsh Square, l’altra mattina c’erano 2 coloratissimi e rumorosissimi pappagalli. Aspettavo Kent Rossiter con il fuoristrada per andare ai Flinders Ranges

Sarà il mio accompagnatore nei Flinders Ranges, una catena di colline 450 km a nord di Adelaide. Risalgono a 600 milioni di anni fa, erano sommerse dal mare come dimostrano i fossili di specie marine primordiali che si trovano con facilità. Le alture sono state intitolate all’esploratore Matthew Flinders.


Nei Flinders Ranges vivono canguri e wallabies in quantità. Sono animali ai quali basta poca acqua per vivere e una quantità limitata di vegetali. Le piogge abbondanti della scorsa stagione hanno fatto crescere molto cibo e quindi ci sono parecchi cuccioli in giro. Le cangure fanno in fretta a sfornarli: quando hanno ancora il piccolo nel marsupio sono già in gestazione del prossimo cucciolo. Sono animali notturni, passano le giornate a dormire all’ombra ed escono a pascolare la notte. Per questo il rischio di trovarseli in mezzo alla strada dopo l’imbrunire è molto alto.

I canguri dividono i pascoli con le pecore merinos che danno una ottima lana. Un tempo c’erano molte stations, così le chiamano: allevamenti ovini con migliaia di capi sparsi in un territorio immenso. I primi insediamenti di allevatori in questa zona risalgono agli anni 50 dell’800.

Tony, il proprietario del Rawnsley Park Station dove dormo stanotte, possiede 3.000 pecore e ci vogliono 5 giorni per tosarle tutte. Il lavoro viene svolto da abili tosatori a contratto che ti ripuliscono una pecora ogni 3 minuti. Ma deve essere bella asciutta. Tony ne ingaggia 4, vengono pagati 2,50 dollari a capo e ne tosano 150 – 200 al giorno. La lana viene pressata in enormi balle da 190 kg, grosse un metro cubo circa, e viene venduta a 8 dollari al kg.

Nelle gole tra le colline di roccia non vivono solo i canguri: nelle pozze d’acqua che si prosciugheranno man man che salità la temperatura, si nutrono uccelli come questo ibis che ha sulla gola una serie parallela di trattini. Molto elegante nei movimenti, la sua immagine riflessa lo rende irreale, specie in un ambiente così arido come nei Ranges.

Per il lunch Kent mi porta a Parachilna, un minuscolo paese di 6 abitanti. Ci passava il Ghan, il mitico treno che attraversa il continente. Adesso ha cambiato tracciato, ma rimane una sgangherata stazione ed un confortevole albergo della prateria, il Prairie Hotel. Molto carino ed accogliente con delle belle suite interrate di un metro per essere più fresche. Ken mi racconta di essere stato nel letto di Kate Winslett prima che lei diventasse famosa con il Titanic. Cioè ha dormito nella suite 12, quella in cui stava la Winslett quando girava insieme a Harvey Keitel il film “Holy smoke” più di una dozzina di anni fa.

Al Prairie Hotel si mangia quello che il territorio esprime e così nel piatto mi ritrovo emù, kangaroo e capra selvatica, adeguatamente segnalati con un roadsignal per capire cosa hai nel piatto. Bell’idea australian! E sopra ci bevo una Fargher, come consigliato dalla Lonely Planet.

Poi mi presentano la proprietaria, Jane, che di cognome fa Fargher. Sono loro a far produrre a Mildura questa pale ale niente male. E fanno anche il gelato artigianale all’italiana Flinders Range. Lei e il marito Ross sono amici di Stefano, lo chef italiano famoso in tutta l’Australia che ho conosciuto e intervistato a Mildura nel 2003. Dice che a volte partono e si fanno un giorno di viaggio per andare a cenare da Stefano. Pernottano, fanno colazione con un caffelatte e tornano indietro. Jane infatti sta sorseggiando un caffelatte quando la fotografo.

Ma non è l’unica attività di famiglia: quello con la t-shirt blu elettrico al bancone è Eddy, il figlio di Jane, che si occupa di FargherAIR. Davanti all’hotel c’è una airstrip, un campo di volo. Edy mi dice che è andato a lavorare nelle miniere al nord per mettere da parte i soldi per pagarsi il brevetto di volo. E adesso porta i turisti a visitare i Flinders Ranges dall’alto oppure fino al Lake Eyre. Intravvedo due aerei e gli domando: qual è il tuo? E mi risponde “tutt’e due, ma quello di destra lo uso per i voli turistici”. Come da noi si chiede ad un ragazzo: qual’è la tua moto?

La cameriera deve essere la ragazza di Eddy ed è di origine italiana, ma non osa spiccicare parola in italiano. Viene da Adelaide, suo padre era di Napoli, e dice che nella grande comunità di italiani c’è qualcuno con il mio cognome. Dice che dovrei controllare sull’elenco telefonico. Intanto alle sue spalle vedo che nel frigo hanno la stella rossa dell’acqua minerale italiana. Incredibile trovare così tanta Italia in un posto così sperduto come Parachilna! Mi sento come al Bagdad cafè di Paris, Texas. E mi piace.

Per il tramonto Tony ci porta in cima alla collina nella sua proprietà per un aperitivo. La strada aperta tra gli alberi è ripidissima, si va su in prima con la ridotta. Ma il panorama è spettacolare e i canapè pure. Le bollicine mettono allegria aspettando che i Flinders si colorino di rosso con gli ultimi raggi di sole.

Cena con Tony e la moglie Julie al Woolshed che è pienissimo. Si mangia bene ma è anche l’unico ristorante nel raggio di 50 km per chi sta al Rawnsley Park Station. Prendo il Tommy Ruff, incuriosito dal nome. E’ un’aringa farcita del golfo di Adelaide. Appoggio il mio cappello sulla lavagna del menù. Wherevere I lay my hat, that’s my home.

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Adelaide

Sab 4 sett
Stamattina partenza dall’aeroporto Ayers Rock alla volta di Adelaide in South Australia. A brilliant blend è il claim di questo stato a vocazione agricola, dove si produce frumento in quantità industriale, bestiame e ottimi vini nelle valley intorno alla capitale.

La mia vicina di sedile ha paura di volare! Si agita e respira affannosamente. Si chiama Tracey e lavora in una comunità aborigena come assistente sociale. Vive 200 km a sud di Uluru in mezzo al deserto in un “villaggio” di un centinaio di persone.

Ed eccomi ad Adelaide, che ha un 1.200.000 abitanti.
Il cuore della città è la zona pedonale di Rundle Street, piena di negozi. Adelaide è stata fondata nell’800, uno dei suoi edifici storici è questa arcade, un centro commerciale di fine 800 con davanti la classica fontanella in ghisa. Lungo questa strada è vietato fumare, anche se all’aperto!

Gene Vecchio di Tourabout Adelaide mi ha accompagnato in giro. La comunità italiana conta circa 45.000 persone ad Adelaide. Lui è arrivato in Australia da Eboli quando aveva 13 anni. E all’inizio non è stato facile. Adesso la mentalità degli Australiani è molto più aperta.

Questa statua è di un attore caratterista molto popolare in Australia, Roy “Mo” Rene. Sta davanti ad un ex teatro in Hindley Street che sembra sia la zona un po’ calda di Adelaide, con un sacco di pub equivoci. Occorre indagare…

Per cena sono ospite di Susanna dell’ente del turismo di South Australia. Si va in un ristorante sul fiume Torrens con splendida vista sul centro culturale e sugli alberghi. Susanne è una ragazza fortunata: camminando verso il ristorante ha trovato per terra una banconota da 10 dollari AUS, circa 8 euro. Non male!

Susanne è tedesca, di Berlino Est. Ora è sposata con un australiano e aveva 18 anni quando è caduto il muro. Mi ha raccontato di quei giorni, quando anche lei è andata a curiosare dall’altra parte. Era con un’amica e due ragazzi su una Porsche le hanno invitate a fare un giro nella parte ovest, a mangiare una torta alle fragole e a bere una cioccolata, cose nuovissime per loro! Sono diventati buoni amici e sono ancora in contatto.

Da quando sono in Australia ho mangiato praticamente ogni sera carne di canguro e siccome ho l’impressione di aver cominciato a saltellare un po’ quando cammino, stasera al Red Ochre Restaurant ho ordinato un magnifico filetto di Angus irlandese.

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Kings Canyon

Kings Canyon ven 3 sett. “Oggi è il primo giorno di primavera!” commenta garrula la ragazza della Herz mentre scrivo ad alta voce la data sul modulo. E’ vero, per l’Australia comincia the Springtime. La mia auto di oggi ha una targa che non si dimentica: OHX 888.E’ una Ford R6 color candy, quel rosso ciliegia che fa tanto caramella e che la Harley Davidson ha chiamato appunto candy. I primi metri li faccio tranquillo, i primi km più spigliato. Dopo i 20 già faccio rombare il motore e soprattutto applico il saluto alla Northern Territories: alzi una mano dal volante incrociando le auto in senso opposto. Tutti salutano, basta un cenno, un’alzata di dito. E ti senti parte di una comunità, di un gruppo, del Genere Umano. Ci sono poche auto e si può fare qui, non certo nel traffico di una strada di milano. Ma è bello salutare ed essere ricambiati. Mi piace e lo faccio sistematicamente. Dopo circa 20 saluti e duecento km dopo, l’adrenalina da avventura comincia a venire meno. La strada è sempre uguale e la faccenda si sta facendo noiosa. A ravvivare l’atmosfera c’è un grosso incendio che sprigiona nuvole di fumo tali da oscurare il sole. Corre ai due lati della strada, ma a bruciare è solo l’erba secca cresciuta a dismisura dopo un’annata di piogge abbondanti. I fuochi sono controllati, ma non vedo nessuno intorno. Mi fermo a distanza di sicurezza per osservare dove il fuoco è passato. Gli alberi sono intatti e anche i cespugli di acacia in fiore. Sono bruciati gli alberi e i cespugli secchi. Si sentono sfrigolii vari e schioppi, qui è là si alza un filo di fumo. Devono essere così i campi di battaglia, stesso odore intenso e lamenti dei feriti. Arrivo alla King’s Creek Station, dove si può cavalcare un cammello o un cavallo, fare un giro in quad, mangiare un boccone e fare un volo panoramico in elicottero. Oltre a fare il pieno di benzina ovviamente. Le roadhouses sono un luogo di incontro di viaggiatori, dove si può mangiare una fantastica torta all’arancia e fermare a fare 4 chiacchiere con gli altri. Appena oltre la station c’è la deviazione per il Kings Canyon Wilderness Lodge. Mi devo aprire il cancello e richiuderlo alle spalle. E dopo un paio di km di sterrato mi accoglie Karen. Ho una tenda con il pavimento in legno. E’ di design, senza armadi ma con un letto grande e comodo. Un paio di poltroncine in midollino, aria condizionata. E un bagno bellissimo e ben illuminato con doccia col padellone e una lampada riscaldante. l lodge è costituito da una decina di tende e ciascuna è intitolata ad un personaggio australiano. A me tocca Len Tuin, un ragazzo intraprendente che ha cominciato trasportando frutta, poi la posta e infine turisti verso le mete come Uluru. Un pioniere del turismo che si è ritirato dal business nel 74. Con la moglie è andato a vivere nel Queensland, sulla Golden Coast. Un giorno hanno ritrovato la barca su cui era andato a pescare rovesciata. Una bella fine per un viaggiatore.
Il lodge tenta di essere a minor impatto ambientale possibile: ha una mezza dozzina di grandi pannelli solari he coprono per il 60% il fabbisogno elettrico. Ma per far girare l’aria condizionata ci vuole un generatore diesel.
Al Kings Canyon mi accompagna Rowan, che come molte donne del bush australiano ha un viso interessante, gli occhi chiari e un corpo da uomo. Rowan mi ha portato con il 4wd fino ad un punto panoramico per rendermi conto della proprietà: 180.000 km quadrati, che appartengono ad una famiglia aborigena. Esportano cammelli. Qui i cammelli nascono e prolificano, solo loro potrebbero vivere in un ambiente così estremo. Hanno calcolato che nella zona di Kings Creek sono almeno 10.000. E in tutta l’Australia sono oltre un milione e mezzo e sono diventati un grosso problema per il governo. Si dovrebbero catturare e vendere sui mercati dove la carne di cammello è richiesta, in Africa e Medio Oriente. Ma non è così semplice. l Kings Canyon è una gola profonda un’ottantina di metri dove confluiscono tutti i torrenti effimeri creati dalle piogge nel deserto. Un laghetto stretto tra alte pareti di roccia rossa è il centro dell’escursione. Attorno nella fessura crescono palme e alberi di eucalipto. La palma che cresce qui è come quella che ho a casa, punge e non è endemica. Ci sono piante maschio e piante femmina e c’è un insetto che vive all’interno della pianta maschio. Quando arriva la stagione dell’impollinatura, l’insetto si carina bene di polline e va intorno a visitare le parti più intime delle piante femmina.

Rowan mi accompagna con una nuova Toyota Land Cruiser. Breakfast alle 6 e via alle 6.30. Il sole sorge alle 7 quando arriviamo a destinazione. Ci sono già degli autobus e dei pulmini. La prima parte dell’ascesa è dura: una scalinata molto ben realizzata nella roccia, quasi non ti accorgi che c’è la mano dell’uomo. A dire il vero la composizione delle pareti è tale che sembra tutta una gradinata. Rowan è mezza scozzese da parte di padre e tedesca da parte di madre. Non è mai stata in Europa, lei faceva la guida nel Kimberly. E quando le hanno proposto di venire al Kings Canyon perchè c’era un posto libero ha subito accettato. Uno spirito nomade, I’m a gipsy, dice di sé.

La scorsa settimana ha fatto il percorso completo del King Canyon, 22 km con pernottamento sotto le stelle in sacco a pelo. E i serpenti? Siamo stati sfortunati, dice, non ne abbiamo visti. L’aria è frizzante salendo ma una volta su il sole è sufficientemente alto da cominciare a scaldare per benino. La camminata è per tutti. Davanti a noi la guida del gruppo è una ragazza con i capelli da rasta che ha fatto il pieno di acqua alla fontanella all’ingresso del parco. Ecco la differenza con noi turisti: l’acqua è a disposizione, anche al bar del Wilderness Lodge. E’ buona e fresca, ma non ci fidiamo e preferiamo comprare bottiglie sigillate a prezzi pazzeschi, quando basterebbe usare la bottiglia come borraccia e rifare il pieno.

Ritorno a Uluru, ancora un barbie stasera e domani via per Adelaide, South Australia.

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